Il cenone della vigilia in Irpinia, tra sapori e rituali

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

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Dimentichiamoci le vongole e i panettoni (anche quelli a km. 0). Stando alla tradizione, il cenone della vigilia in Irpinia era tutta un’altra storia. Una storia improntata sulla convivialità e sull’ingegno di trasformare le materie prime, povere e scarse, in piatti intramontabili

Se il dubbio oggi, nel giorno della vigilia di Natale, è se stare a casa coi parenti o sorseggiare qualche aperitivo prima di andare a cena fuori, al ritmo di amuse-bouche, roboanti piatti esotici e fingerini vari, un tempo le cose non stavano esattamente così. La tradizione irpina racconta che mangiare in casa era l’unica via. Se oggi l’evoluzione di gusti e stili di vita hanno notevolmente stravolto i rituali della vigilia, in passato la solennità della serata stava innanzitutto nelle persone. Trascorrere questa data in maniera conviviale, attorniato dai propri parenti, era l’ingrediente più gustoso di ogni Natale perché foriero di cerimoniali aggregativi, ricchi di ritualità.

A tavola, originariamente, il 24 dicembre era inteso come giorno di magro, in cui ci si preparava al sostanzioso banchetto del giorno successivo. Non proprio digiuno, ma quasi.

Poi, col passare del tempo la cena della vigilia ha cominciato a diventare un appuntamento culinario sempre più importante, improntato tuttavia su tre rigorosi pilastri: rispetto per i precetti religiosi (che non prevedono carne), austerità e facilità nel reperire gli ingredienti. Dalla complessa triangolazione di questi elementi, e con l’inventiva delle massaie locali, hanno preso forma col tempo una serie di piatti della tradizione irpina per le festività natalizie.

Ho provato a tracciare un percorso gastronomico trasversale, che rappresentasse tutta l’Irpinia attraverso ricette universali, preparate (salvo qualche eccezione) in tutta la provincia. Ho chiesto perciò in giro a professionisti e a qualche fidato amico nel tentativo di comprendere qual è il menu tipico della vigilia di Natale in Irpinia secondo la tradizione.

Il baccalà all’insalata

La prima risultanza evidente è che in provincia di Avellino un menu del cenone che si rispetti non può prescindere dal baccalà. Una pietanza che tutto l’anno non manca sulle tavole degli irpini, ma che in questa occasione si immortala in differenti piatti della tradizione. Il baccalà all’insalata (con olive verdi, pepaine e prezzemolo) è decisamente un must dell’antipasto, almeno quanto il baccalà fritto (rigorosamente nella farina di granone) lo è tra i secondi piatti. Sono invece una cosa a parte (vale a dire il più licenzioso tra i fuoripasto) le zeppole di baccalà, sfiziosa pasta cresciuta fritta farcita per l’appunto con pezzettini di baccalà. È invece una pietanza molto spesso associata al pranzo della vigilia il classico accio e baccalà, una zuppetta di sedani (la ricetta la trovi qui), che nelle versioni più corroboranti si avvale anche della patata, talvolta accompagnata dalla pizza di granone.

Tra gli antipasti, in due sfidano la notte dei tempi. La scarola mbuttunata (a base di foglie di scarola ripiene con gli immancabili capperi, olive, uvetta e noci) e le pepaine ripiene. Queste ultime sono una delizia quasi esclusiva della sera del 24 dicembre e sono composte dai classici peparuli a l’acito, riempiti con un misto a base di pane raffermo, olive, capperi, noci ed alici, con l’aggiunta decisiva del vino cotto.

Tra i primi piatti della vigilia in Irpinia un classico intramontabile sono gli spaghetti con alici e nocciole (o noci, in alcune realtà addirittura con l’aggiunta di uva passa e pinoli), gli antesignani degli odierni spaghetti con le vongole.

Capitone fritto

Premesso che il secondo piatto dei cenoni contemporanei, la frittura pesce, è una diavoleria moderna (oltre che un forestierismo), più avvezzi alle tradizioni sono invece le citate declinazioni di baccalà. A questo punto risulta necessario aprire una parentesi, fondamentale, sull’ingrediente più dibattuto e controverso delle feste: il capitone. Nonostante sia riportato in molti ricettari classici delle feste, il capitone (stesso dicasi per il meno utilizzato anguilla), vuoi per la forma, vuoi per la difficoltà nel domarlo, vuoi per un sapore peculiare, non è un caposaldo di tutti i cenoni. Il bivio “capitone sì, capitone no” è certamente importante, però, in quanto i suoi indefessi sostenitori possono cucinarlo alla brace o fritto (alternative o supporto ai secondi di baccalà) oppure al sugo, ottenendo così un gustoso condimento (come accade per esempio a Rocca San Felice e Montecalvo Irpino) per ricavarne un ulteriore primo piatto.

Broccoli di Natale

Tra le verdure, ormai divenuti tipici (per quanto non originari) sono i broccoli di Natale, meno diffusa invece (prettamente nei paesi che danno sul napoletano) l’insalata di rinforzo, un misto di verdure alla giardiniera tra cui regna il cavolfiore. A proposito di quest’ultimo, nell’Irpinia Settentrionale, più o meno da Grottaminarda in su, è invece d’uso un piatto antichissimo e ancora oggi quasi imprescindibile: cime e baccalà. Si tratta di una pietanza a base di cavolfiore, scottato e poi messo in padella con vari ingredienti (tra cui uva passa, pinoli, noci e peperone secco) prima di essere aggiunto all’onnipresente baccalà, privato delle sue spine. Ad Ariano Irpino, di derivazione beneventana è invece il cardone, una zuppa che parte da un brodo di carne mista (vitello e pollo) e si insaporisce con i cubetti di questa verdura tipica locale (il cardone appunto), che è simile al sedano ma con un sapore che tende a quello del carciofo. Il piatto, molto elaborato, si conclude aggiungendo al tutto piccole polpettine, uova da amalgamare nel brodo e formaggio grattugiato.

Gli strufoli

Sul capitolo dolci mi è sembrato necessario aprire un capitolo a parte, dato che in questo speciale settore le numerose contaminazioni hanno portato a tradizioni differenti nelle varie zone d’Irpinia. A prescindere, in ogni caso, intramontabili sono gli strufoli, i tradizionali cilindretti di pasta dolce, prima fritti e poi inondati dal miele irpino (preferibilmente di sulla o millefiori), tempestati di diavolilli o altre decorazioni commestibili. Stesso dicasi per il torrone, marchio di fabbrica della gastronomia di qualità dell’Irpinia e degna conclusione di ogni pasto della vigilia che si rispetti.

Ad accompagnare cene di questo calibro l’abbinamento perfetto è con il Greco di Tufo DOCG, mentre per concludere degnamente il cenone l’ideale sarebbe recuperare un quasi introvabile Fiano di Lapio spumantizzato alla vecchia maniera. Quello che oggi conosciamo come un apprezzato vino fermo, era in origine una proposta da fine pasto, dalla ostica conservazione. Nemico delle gabbiette senza mordente e dei sugheri poco tenaci, attentava perfino alle bottiglie meno resistenti. Queste ultime scoppiavano, in cantina o peggio ancora nel frigo, il processo di spumantizzazione produceva bottiglie che, anche quando rimanevano intatte dopo la stappatura, finivano per versarsi per buona parte, lasciando il classico “culo di bottiglia” agli astanti. Ricordo bene quando aprire una bottiglia di Fiano di Lapio era un’operazione impegnativa, altamente tattica, foriera di una strategia paramilitare collettiva non banale. L’impresa impiegava più unità, idealmente tre: uno che manteneva la bottiglia, uno che tirava via il tappo ed un terzo, il più importante, che reggeva con dovizia un secchio nel quale il vino si sarebbe irrimediabilmente versato dopo averlo aperto. Ricordo altrettanto bene che proprio questa sua natura imprevedibile rappresentava l’origine di un rituale che era l’anima più vera di molti momenti vissuti durante le mie festività natalizie.

Trattare quella bottiglia come una boccetta di nitroglicerina, notare gli zii che al momento fatidico della stappatura si davano alla macchia, assistere ad un’indecorosa caduta d’orgoglio femminile (che ricordavano, mai come in quel momento, di essere il sesso debole) rappresentano momenti di convivialità difficili da dimenticare, certamente tra i più belli dell’infanzia legati alla vigilia di Natale. E sono la conferma di come, a prescindere da quanto e cosa si mangi durante la vigilia di Natale, sono i momenti felici a rendere speciale e davvero memorabile questa ricorrenza.