Viaggio nel mondo delle castagne d’Irpinia

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

Castagne Salza (4)

L’Irpinia è terra di infiniti castagneti. Castagneti in grado di coniugare una qualità riconosciuta a livello internazionale ad un’ottima quantità (annate e parassiti permettendo). Basti pensare che in Italia, che è il terzo produttore mondiale, 1 castagna su 4 è una castagna irpina.

Tra le più rinomate c’è certamente la castagna di Montella IGP. Con questa denominazione non si intende soltanto le castagne prodotte nel territorio montellese, ma anche quelle nei confinanti paese di Bagnoli Irpino, Cassano Irpino, Nusco, Volturara Irpina e Montemarano, fino a Sant’Angelo dei Lombardi. In questa importante porzione di Monti Picentini viaggiare nel periodo autunnale, quando le piante sono cariche dei caratteristici ricci che cominciano a cadere cambiando il paesaggio, è un piacere per gli occhi. L’alto numero di sagre che celebrano questo frutto non fanno altro che confermarne la vocazione.

Un’esperienza che vi consiglio se visitate Montella nel mese di ottobre, è avventurarvi su, verso il Santuario del SS. Salvatore. Oltre a visitare il magnifico tempio posto sul cocuzzolo dell’omonimo monte, a quasi 1000 metri di altezza, sarà molto emozionante, raggiunta l’altitudine giusta, ritrovarsi immersi in un paesaggio che cambia improvvisamente, quasi una nuova dimensione, fatta dei colori più tipici dell’autunno.

Un castagneto nel territorio di Montella

Tornando alla castagna, da Montella, scollinando il Monte Terminio, si giunge in un altro microcosmo dedicato all’eccellenza castanicola, che qui prende il nome di Marrone di Serino, anch’esso IGP. Questo frutto, leggermente diverso dal cugino montellese (principalmente l’ecotipo definito Montemarano) risulta leggermente più grande e regolare nella forma. L’areale di questa tipologia di castagna ha una superficie di diffusione molto più ampia, che interessa oltre Serino, altri 12 comuni, da Forino fino a Chiusano di San Domenico, passando per Contrada, Montoro, Solofra, Aiello del Sabato, San Michele di Serino, Santa Lucia di Serino, Santo Stefano del Sole, Cesinali, Sorbo Serpico e Salza Irpina.

Nonostante sia stato riconosciuta l’Indicazione Geografica Protetta solo nel Settembre 2018, il Marrone di Serino ha una tradizione secolare, testimoniata anche dal fatto che l’omonima sagra che si tiene ogni anno a Rivottoli (frazione proprio del comune di Serino) risulta la più antica d’Irpinia e tra le più longeve d’Italia.

Castagne irpine a confronto: a sinistra una castagna varietà “montemarano” e una bionda del Partenio

Non meno importante è la Castagna Bionda del Partenio, detta anche Ionnola, che interessa l’area del Massiccio del Partenio. Rispetto a quelle che nascono nell’areale del Terminio si caratterizza per una buccia più chiara (da cui l’aggettivo “bionda”) ed una dimensione più ridotta.

La lunga tradizione della jonna del Partenio, che la vede da decenni protagonista anche di eventi ad essa dedicati, comprende in realtà delle varietà tipiche locali le più conosciute delle quali sono la ionna di Mercogliano, il Marrone di Cervinara, la Castagna di Summonte e il Marrone montefortese. Una radicazione talmente lunga da suggerire, nell’ottobre del 2024, la richiesta della denominazione IGP, attualmente in fase di riconoscimento dalla comunità europea con il nome di Castagna del Partenio. Nel disciplinare proposto la zona di produzione prevista per la provincia di Avellino rientra in 15 comuni (Avella, Cervinara, Mercogliano, Monteforte Irpino, Mugnano del Cardinale, Ospedaletto d’Alpinolo, Pietrastornina, Quadrelle, Roccabascerana, Rotondi, Sant’Angelo a Scala, San Martino Valle Caudina, Sirignano, Sperone e Summonte).

In giro per l’Irpinia però da sottolineare la presenza di altre cultivar tradizionali, a cui sono associate storie rurali molto interessanti, come per la Castagna di Trevico PAT. Simile nelle dimensioni a quella di Montella, ma leggermente più regolare nella forma, ha rappresentato per lungo tempo una risorsa economica notevole per le famiglie del posto. Il commercio che i contadini trevicani ne facevano in passato, caricando i muli per sconfinare in Puglia era alla base del sostentamento di molte famiglie, diventando oggetto di baratto per ottenere in cambio olio, pane ed altri beni di utilizzo quotidiano. La castagna di Trevico era inoltre un… passatempo! In passato infatti, per sconfiggere la monotonia delle lunghe sere invernali, gli abitanti di Trevico impastavano la farina di castagne con l’acqua, creando oggetti artistici che, una volta cotti, abbellivano le abitazioni e conservavano questo frutto fino a Natale, quando venivano consumati.

Castagne del Partenio (Marrone montefortese)

Discorso diverso per la Castagna rossa di San Mango, un’antichissima cultivar che ancora oggi cresce nel territorio di San Mango sul Calore, nella media valle del Calore. Si tratta di un frutto caratterizzato da una buccia rossiccia molto peculiare. È particolarmente apprezzato soprattutto perché primitiva: nascendo a inizio ottobre incontra i favori dei rivenditori, che la commercializzano come primizia. Si tratta tuttavia di un frutto che andrebbe rivalutato dato che il numero di castagni che portano questo frutto sono in diminuzione anno dopo anno. La paura è che possa diventare col tempo un frutto dimenticato, come nel caso della Castagna turana, un particolare ecotipo diffuso nei territori di Chianche e Petruro Irpino, di cui oggi rimangono pochissime tracce.