C’è qualcosa di straordinario nel modo in cui il grano, elemento semplice e quotidiano, diventa arte, memoria e devozione nelle comunità dell’Irpinia. È quello che accade a Fontanarosa, piccolo centro nella Valle del Calore, dove ogni anno prende vita il Carro di paglia, conosciuto anche come obelisco di paglia. Non si tratta soltanto di una festa, ma di un vero e proprio rito comunitario che tiene insieme artigianato, religiosità e identità collettiva, in onore della Madonna della Misericordia.

Una macchina da festa che sfida il cielo
Il Carro di Fontanarosa è alto circa 28 metri, costruito su sette registri sormontati da una cupola. Tutto poggia sul grande Carrettone, un carro agricolo trainato da due coppie di buoi, che rappresenta il cuore del rito. Ciò che rende unico l’obelisco è il rivestimento: pannelli artistici realizzati intrecciando paglia inumidita, lavorata con pazienza fino a diventare guglie, colonne, capitelli. Un disegno che non cambia mai, a ribadire la continuità di un rito che resiste al tempo.

La lunga attesa prima della “tirata”
Il 14 agosto è il giorno della “tirata”, ma il lavoro comincia molto prima. Già a luglio si sceglie la paglia migliore della mietitura, e tutto il paese partecipa alla costruzione. Si inizia dal fissaggio della struttura in legno, si montano uno a uno i registri, e la paglia portata in processione durante la sfilata delle gregne viene trasformata in tessiture preziose. Camminando tra le stradine di Fontanarosa nei giorni precedenti la festa, si respira un’aria di attesa collettiva: famiglie intere, artigiani e volontari contribuiscono a un’opera che appartiene a tutti.

La magia della tirata
A differenza per esempio del Giglio di Flumeri, il Carro di Fontanarosa non viene alzato, perché la sua costruzione avviene in verticale (con l’apposzione della cupola l’8 agosto). Nel pomeriggio del 14 agosto il carro è pronto per partire. La cosiddetta tirata parte da via I Maggio, col carro trainato dai buoi e guidato dalle corde di oltre 1500 funaioli. Il paese intero trattiene il fiato. La comunità si muove insieme: 32 funi di canapa tirate da centinaia di persone, in un equilibrio che è allo stesso tempo forza fisica e coordinamento spirituale. Ogni passo è lento e faticoso, le soste sono necessarie per ritrovare il ritmo comune, e il momento più temuto è la curva di via Municipio, dove il carro deve piegare senza perdere stabilità.
È un rito collettivo di resistenza e fiducia. E quando, dopo ore di fatica, l’obelisco raggiunge la piazzetta affacciata su Corso Mazzini e la statua della Madonna viene rivolta verso la Chiesa della Misericordia, l’emozione diventa palpabile. La comunità ha compiuto ancora una volta il gesto che la unisce da secoli.

Un rituale antico che parla al presente
Le origini della festa risalgono probabilmente all’Ottocento, quando i contadini portavano le primizie della mietitura in dono alla Madonna, chiedendo protezione e fertilità. Col tempo il carro si è trasformato, assumendo le forme tipiche delle macchine da festa del Settecento e rinnovandosi attraverso le mani di maestri artigiani fontanarosani che hanno lasciato la loro impronta (dai fratelli Martino a Mario Ruzza). Ma il senso profondo è rimasto lo stesso: ringraziare e affidarsi, vivere insieme un momento che supera il singolo per diventare collettività (e le migliaia di forestieri, specie immigrati fontanarosani, che partecipano al rito ne è una palese dimostrazione).
Fontanarosa e gli altri riti del grano
Il Carro di Fontanarosa non è un unicum isolato: fa parte di un più ampio mosaico di riti del grano che costellano la provincia di Avellino. Insieme al Giglio di Flumeri (leggi qui), il carro di Mirabella Eclano, il Giglio di Villanova del Battista (leggi qui) e la tradizione dei Carri covoni di Frigento. Ogni paese ha la sua variante, ma il filo conduttore è sempre lo stesso: il grano come simbolo di vita, speranza e identità condivisa.




Un’esperienza che resta dentro
Andare a Fontanarosa per vivere la tirata del Carro è un’esperienza che va oltre la semplice osservazione. Non si è spettatori, ma parte di una comunità che celebra se stessa e la propria storia attraverso un’opera effimera, destinata a durare poche ore eppure capace di restare viva nella memoria per sempre.
Ogni intreccio di paglia racconta una mano che ha lavorato, ogni corda tirata una voce che si è unita alle altre. È in questo che risiede la grandezza del Carro di Fontanarosa: non solo nella maestosità della struttura, ma nella forza invisibile che tiene insieme il paese, anno dopo anno.
