“Un complesso architettonico da fruire a cielo aperto, immerso in un silenzio che rigenera, accompagnati dai profumi delle erbe spontanee: un percorso che è una visita culturale e al contempo un’esperienza mistica”
Visitare il Goleto significa entrare in un luogo che lascia a bocca aperta. Il complesso è enorme e sorprende ad ogni sguardo. È come un insieme di frammenti di storia, stratificati per formare un unicum inimitabile. Il complesso abbaziale del Goleto è una delle cartoline più belle d’Irpinia: un mix di storia, arte ed architettura che dura da quasi nove secoli. Senza dubbio il simbolo del comune di Sant’Angelo dei Lombardi e uno delle icone d’Irpinia. Merito di una storia travagliata e avvincente.
La storia di questo luogo magico comincia nel 1133, quando Guglielmo da Vercelli, proveniente dai monti del Partenio (dove aveva posto le basi per la creazione del Santuario di Montevergine) si stabilisce qui, dimorando per qualche tempo nella cavità di un albero. Ruggiero, signore del Castrum di Monticchio, decide di donargli l’ampia area brulla dove stava dimorando. Qui il futuro patrono d’Irpinia erige una chiesa dedicata al Santissimo Salvatore.
È il primo nucleo di quello che diverrà il complesso del Goleto, nome derivante dal toponimo dialettale che indica la flora tipica delle zoni fluviali (Goleto: da gugliti, cioè canne del fiume).
L’idea era quella di ospitare una comunità mista, dedicata cioè a monache e monaci. I compiti, nelle intenzioni del santo, erano ben chiari fin dall’inizio: la responsabilità della comunità era affidata alla Badessa, con le monache che vivevano in clausura all’interno di un grande monastero, mentre gli uomini, ubicati in un edificio molto più piccolo, avrebbero provveduto alla gestione economica e alla custodia del complesso.
La struttura non subisce modifiche fino alla morte di San Guglielmo, quando i monaci si adoperano per adeguare la chiesa in modo che le spoglie dal santo abbiano la sepoltura più degna. Col tempo la comunità cresce, arricchendosi di terreni e oggetti d’arte che col tempo portano alla modifica strutturale di quella che diventa una cittadella monastica. Si rende necessaria perciò la costruzione della Torre Febronia.
Dopo oltre un secolo (1255), l’arrivo di una reliquia di San Luca suggerisce la realizzazione di una cappella a lui dedicata. La badessa Marina II costruisce quello che ancora oggi è il gioiello più prezioso di tutto il complesso: la Cappella di San Luca. Grazie alla protezione normanno-sveva, la comunità monastica del Goleto arriva ad esercitare una grande influenza sui territori circostanti, fino a quando, in un periodo che si fa coincidere con l’anno della cosiddetta peste nera (1348), il complesso monastico comincia un lento declino che culmina nel 1506 con la soppressione ordinata da Papa Giulio II che si diviene effettiva nel 1515, alla morte dell’ultima badessa. Da questo momento il Goleto comincia a dipendere da quello di Montevergine.
Dopo il terremoto del 1732 il complesso viene interessato da un restauro completo ad opera del grande architetto Domenico Antonio Vaccaro, che costruisce anche la Chiesa Grande. Tuttavia l’intervento del sovrano di Napoli Giuseppe Bonaparte porta alla soppressione dell’Abbazia (1807) a cui segue un lungo periodo d’abbandono di oltre un secolo e mezzo. In questo periodo il complesso viene interessato da furiosi saccheggi, mentre la natura si riappropria lentamente dell’area. Il risultato è il crollo del tetto e di parte delle pareti. Il 1973 è l’anno della rinascita. Grazie all’opera del monaco benedettino Padre Lucio Maria De Marino, che si stabilisce tra i ruderi del Goleto, cominciano lavori che riportano il complesso allo splendore odierno.
Come detto, la struttura si è ampliata coi secoli, per poi modificarsi a causa di incuria ed eventi sismici. Il tempo ha dunque reso la struttura molto diversa. Tuttavia il visitatore odierno può ammirare un complesso in cui sono ancora ben distinte le varie aree che hanno caratterizzato l’evoluzione del Goleto.
La zona del casale. È quella che va dall’ingresso stradale fino al portale del complesso. I bei giardini ornati di siepi sono solcati da un viale alberato: lungo il tragitto, sulla sinistra insistono una serie di edifici, edificati tra XII e XV secolo, dove hanno sempre vissuto (anche nel periodo nefasto dell’abbandono) contadini custodi della struttura.
La Cappella di San Luca. Appena varcato il portone d’ingresso del complesso, sulla destra, c’è la meravigliosa scala in marmo che porta al piano superiore, dove è ubicata l’incantevole cappella di San Luca, gioiello assoluto dell’Abbazia. Il portale a sesto acuto e con un piccolo rosone introduce ad un ambiente spartano nell’arredamento ma dall’impatto magnificente. Probabilmente tutta la chiesa era affrescata, anche se ad oggi sopravvivono solamente poche scene raffiguranti alcune badesse e San Guglielmo.
Le fattezze (in particolare i capitelli e le volte), come hanno sottolineato numerosi studiosi, ricordano moltissimo Castel del Monte, la fortezza federiciana per antonomasia di Andria. Il motivo sembra legato alla figura da Riccardo di Trentinara, un castellano che aveva tre figlie, tutte monache nel Goleto, tra cui l’ultima forse è quella Badessa Scolastica che reggeva l’Abbazia all’epoca. Si pensa che Riccardo sia stato incaricato di trovare le maestranze per la costruzione della chiesa, ingaggiando probabilmente le stesse che avevano lavorato a Castel del Monte.
La Chiesa Inferiore. Si trova al di sotto della chiesa di San Luca, sulla destra della scalinata del Vaccaro. Si caratterizza per le due colonne centrali al centro della costruzione a pianta quadrata. La funzione probabilmente era quella di atrio (o galilea), ossia di un luogo di smistamento verso i vari ambienti del complesso.
Un luogo che fungeva probabilmente anche da cappella funeraria: lo annuncia il bassorilievo raffigurante una matrona posto all’ingresso e soprattutto l’arca funeraria in pietra rossa locale che campeggia all’interno. Da qui era possibile accedere (partendo da sinistra) alla scala di collegamento con la Chiesa di San Luca, il portale di accesso alla chiesa del Salvatore, l’accesso alla zona esterna dedicata alle sepolture e infine il passaggio (ad oggi inaccessibile perché murato) per il chiostro e le celle delle monache.
La Chiesa del Santissimo Salvatore. Il nucleo originario fondato da San Guglielmo che riemerso a seguito dei lavori che seguirono il sisma del 1980. I resti sono visibili tra la chiesa inferiore e la torre Febronia. L’interno era caratterizzato da una navata di destra introdotta dal fonte battesimale, mentre in alto su entrambi i lati era sospeso il coro delle monache. Un altare marmoreo dominava l’abside, con un lato dominato dalla cappella in cui riposavano le spoglie di San Guglielmo.
La Torre Febronia. Insieme alla Cappella di San Luca è la parte del Goleto meglio conservata. Costruita nel 1152 per volere dell’omonima badessa, si tratta di una torre di difesa realizzata utilizzando blocchi provenienti da un vecchio mausoleo di epoca romana, risalente all’età augustea o flavia. La sua imponenza, ispirata a un classico dongione normanno seppur con molte differenze architettoniche, sembra tuttavia avere anche lo scopo di dimostrare il potere raggiunto dal complesso.
La Chiesa del Vaccaro. A seguito del terremoto del 1732, i danni ingenti alla chiesa originaria resero necessaria la costruzione di un nuovo edificio, affidato a Domenico Antonio Vaccaro. Dal 1735 l’architetto napoletano realizzò quella che venne definita Chiesa Grande, per via delle enormi dimensioni, che tuttavia oggi sono soltanto intuibili dato il crollo del tetto e il conseguente rimaneggiamento di tutto il complesso. Rimangono ben visibili alcuni stucchi sulle pareti, il pavimento restaurato e la presenza del grande scalone d’accesso, rimasto intatto e particolarmente peculiare nella visione d’insieme del complesso del Goleto.
Un luogo magico, splendido e misterioso (oggetto perfino di libri dedicati alla sua simbologia). Un complesso architettonico da fruire a cielo aperto, immerso in un silenzio che rigenera, accompagnati dai profumi delle erbe spontanee: un percorso che è una visita culturale e al contempo un’esperienza mistica. Difficile non emozionarsi di fronte ad una bellezza dal fascino immortale.