La Candelora di Montevergine

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

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Un rituale di devozione, tradizione e cultura popolare che irrompe ogni anno il 2 febbraio. La Candelora è una delle feste più sentite in Provincia di Avellino, dalle origini antiche e dal fascino contemporaneo anche grazie alla “Juta dei femminielli”

Il 2 febbraio di ogni anno due cose sono certe: che sono passati 40 giorni dall’ultimo Natale e che a Montevergine è in atto uno dei rituali più affascinanti ed antichi d’Irpinia: la Candelora.

Il rituale della Candelora ha origine incerta, probabilmente di matrice rurale, derivante dai cosiddetti Lupercali praticati dai romani, antichi riti che cadevano in febbraio in occasione del risveglio della natura (quando i semi mettono le radici per dare buoni raccolti). L’usanza di portare candele accese alla Madonna (da qui il nome) è frutto proprio di questi rituali antichi, durante i quali le donne si recavano in Chiesa coi ceri simboleggianti la rinascita dalle tenebre dell’inverno e un nuovo inizio rappresentato dalla primavera incombente. Non a caso la Candelora è anche definita la Festa della Luce: non solo uscita dall’inverno, ma anche, venendo alla rievocazione religiosa, la presentazione di Gesù al tempio dopo 40 giorni dalla sua nascita, in cui Simone si accorge che la luce della rivelazione riecheggia proprio nel Bambinello.

La Candelora è un rituale che a queste latitudini è sentito in maniera viscerale ed intima, che travolge d’entusiasmo le comunità di Mercogliano e Ospedaletto d’Alpinolo dove si riversano migliaia di fedeli da tutta la Campania, attratti da un mix entusiasmate di cultura popolare e devozione. Ciò che caratterizza infatti la Festa della Candelora a Montevergine è la cosiddetta “juta dei femminielli”, un grande raduno della comunità LGBT che in onore della Madonna di Montevergine si reca in pellegrinaggio inerpicandosi, possibilmente a piedi, sulla vetta del Partenio che ospita il Santuario di Mamma Schiavona.

Il Santuario di Montevergine

I partecipanti si radunano ad Ospedaletto d’Alpinolo fin dal giorno prima. Il 2 Febbraio si parte di buon mattino, attraversando alcuni punti chiave del percorso dei pellegrini, in particolare la Cappella dello Scalzatoio e la Sedia della Madonna, tappe obbligate all’interno delle oltre due ore di cammino che da Ospedaletto portano fino al Sagrato della Chiesa di Montevergine. Il cammino, faticoso, scandito dal freddo e spesso dalla neve, è confortato dai suggestivi canti popolari misti a tammurriate che non si bloccano se non con l’ingresso in Chiesa. Molto affascinante l’ultimo atto della Juta, ossia la salita dei 23 gradini dello scalone che porta all’ingresso del Santuario: un cantore si ferma ad ogni gradino per intonare una nenia di intercessione alla Vergine, protetto e coadiuvato dal resto dei pellegrini, che concludono il coro avviato dal cantore solista. In Chiesa avviene l’atto più sacro, la benedizione delle candele con cui i pellegrini riconoscono a Gesù di essere la vera luce del mondo.

La scala d’ingresso al Santario – Foto Paola Bruno

La particolare devozione dei femminielli è figlia di una leggenda, risalente alla metà del XIII secolo. Si narra che due amanti omosessuali, scoperti a baciarsi in segreto, siano stati legati ad un albero ed abbandonati sul massiccio del Partenio. Il loro amore commosse la Vergine Maria che li protesse dal freddo e poi li liberò con un raggio di sole così forte da scioglierne le catene. Il miracolo non solo li salvò dalla morte per fame e freddo, ma convinse la comunità che aveva osteggiato quell’amore ad accoglierli finalmente con benevolenza.

Un gran numero di fedeli proviene dalle province di Napoli e Salerno, dove la devozione verso la Madonna di Montevergine è fortissima, anche perché la Candelora fa parte ed inaugura ogni anno il ciclo della “sette sorelle”,ossia i sette rituali (che si dice legati all’iconografia delle sette Sibille) dedicati ad altrettante madonne campane, i cui Santuari ricadono nei territori proprio di Napoli e Salerno.

Tammorre
Juta femminielli
Juta femminielli
Foto Mario D’Argenio

Nei giorni della Candelora Montevergine diventa quasi un non luogo, mistico e plebeo al tempo stesso, in cui si perde il senso del tempo, in cui ognuno vive la libertà di essere se stesso, protetto da Mamma Schiavona, in un coacervo di devozione, tradizione e cultura popolare. Il rituale si chiude con un arrivederci: “Statt’ bona Maronna mia, l’ann ca ven’ turnamm’ a bini’… Tutti assieme a sta compagnia, statti bona Maronna mia!”. Un canto che apre alla juta dell’anno successivo, ennesima tappa di un sentito percorso che da secoli è un inno a quella libertà che dovrebbe appartenere ad ogni uomo.