L’eruzione di Avellino

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

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“La rigogliosità del suolo irpino non è questione di fortuna. O forse sì!? Tutto si lega ad un evento che ha un nome preciso ed una data altrettanto nota…”

La provincia di Avellino è riconosciuta unanimemente come una delle zone a maggiore vocazione enologica del mondo. I suoi 3 vini DOCG (il Fiano di Avellino, il Greco di Tufo e il Taurasi) sono la punta dell’iceberg di un territorio che sembra nato per produrre vino di qualità.

Cantine piccole e grandi, vini naturali e non, viticoltori e semplici conferitori, un’importante fetta dell’economia locale ruota attorno al vino, così come la presenza di associazioni di categoria, consorzi, la storica scuola enologica e la più recente ma non meno prestigiosa Università del Vino. Uno scenario enologico di tutto rispetto, dunque, favorito da numerose componenti. In primis il clima, spesso foriero di benevole escursioni termiche, poi l’esposizione, le altitudini piuttosto variegate (che aiutano anche a diversificare ulteriormente le espressioni prodotte), chiaramente le cultivar, e soprattutto, eccomi arrivato al punto, il terreno.

In particolare, la rigogliosità del suolo irpino non è questione di fortuna. O forse sì!? Tutto si lega ad un evento che ha un nome preciso ed una data altrettanto nota. La storia è interessante. Siamo nel 1780 a.C., in piena Età del Bronzo: il monte Somma (un antico vulcano all’interno del quale si formerà successivamente il cono del Vesuvio) è interessato dall’eruzione più devastante della sua storia (decisamente più potente di quella che distruggerà Pompei nel 76 d.C.).

Con i secoli, gli studiosi del settore chiameranno questo evento “Eruzione delle pomici di Avellino“. Il motivo è piuttosto semplice, per quanto non scontato. Il territorio irpino, pur distante chilometri dall’epicentro dell’eruzione, risultò la zona più colpita da quell’accadimento. Le piccole pietre vulcaniche contenenti bolle di gas (le pomici appunto) raggiunsero l’areale di Avellino, in particolare le zone a oriente del futuro capoluogo irpino, depositando uno strato di circa 50-60 centimetri di polvere.

La forza dell’eruzione fu tale che i depositi del materiale scaraventato dal Monte Somma verso l’Irpinia (complici le condizioni ventose) si depositarono nelle depressioni delle valli, finendo per colmarle. Questa massa fluida ed incandescente, una volta raffreddatasi, si trasformò in tufo. Quello che ancora oggi possiamo ammirare sui costoni che caratterizzano il territorio di alcuni paesi, per esempio a Prata di Principato Ultra o a Tufo. Uno strato cromaticamente non univoco: più in profondità di colore biancastro, poi via via salendo grigio e infine grigio scuro nella parte più superficiale.

Una tipica stratificazione tufacea nella Valle del Sabato

Le conseguenze sul territorio irpino furono importanti, e coinvolsero soprattutto la geografia fluviale. Una volta che l’ammasso di detriti incandescenti si consolidò, infatti, i fiumi preesistenti nell’intera area interessata cambiarono il loro percorso, organizzandosi spontaneamente in corsi d’acqua ai piedi dei banchi tufacei creatisi. La forza dirompente dell’acqua pian piano penetrò lo strato tufaceo, al punto da raggiungere quello sottostante. Quest’ultimo, formato da argilla e pertanto impermeabile, consentì ai preziosi minerali presenti nell’acqua, come potassio, magnesio e fosforo di arricchire il terreno, contribuendo a formare le condizioni ideali per la coltivazione della vite.

Il materiale piroclastico, nel suo viaggio verso Nord – Est, incontrò tuttavia diversi ostacoli sul proprio cammino, finendo per depositarsi maggiormente in alcune zone ed escludendone altre. Il complesso del Partenio, le prime vette dei Picentini (nella zona serinese – solofrana), ma anche il tricolle arianese rappresentarono degli ostacoli che concentrarono i detriti principalmente nella zona centrale della provincia di Avellino, partendo dall’hinterland del capoluogo irpino e continuando fino alla Valle del Calore.

L’orbita ellittica verso Est dell’Eruzione di Avellino (Fonte: INGV)

Certo è grande il lavoro che le aziende vitivinicole fanno tutti i giorni per regalare agli appassionati clamorose eccellenze enologiche, tenendo alta la bandiera dell’eccellenza irpina in campo vitivinicolo. Tuttavia, come sempre, tutto va ricondotto innanzitutto alla natura che regala un terreno florido, che oltre a condizioni pedoclimatiche favorevoli ha ricevuto in passato quella che, mai come in questa occasione, si può definire una vera manna dal cielo.