L’Irpinia svelata: Savignano Irpino

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

Savignano I. - Centro storico (6)

Per la rubrica “L’Irpinia svelata” sono stato a Savignano Irpino. Vi ricordo le regole: un giorno qualsiasi della settimana, senza accordarmi con nessun esperto del luogo, informazioni solo da persone comuni, trovate per caso. E anche stavolta è stata una sorpresa…

Partendo da Avellino, Savignano Irpino è una delle mete più lontane da raggiungere. Occorre superare Ariano Irpino e sconfinare nella Valle del Cervaro, dove alla frazione Scalo, con tanto di passaggio a livello (trovato rigorosamente chiuso), comincia una bella salita. Un inerpicarsi di tornanti per raggiungere il centro storico di uno dei borghi più belli d’Italia.

In realtà un’idea più chiara di dove mi stessi recando l’ho avuta quando, all’altezza di Camporeale di Ariano Irpino, alzando gli occhi, ho potuto ammirare quello che mi è sembrato un dragone sdraiato su una sella. La sella è quella formata da due colli, il Tombola e il Calvario, in posizione dominante sul territorio sottostante, ed è la conformazione (molto caratteristica) di Savignano Irpino.

Arrivato al centro del paese parcheggio nella parte più alta. Più o meno nei pressi del Belvedere Tombola, un punto focale del paese. Qui c’è una panchina gigante, rossa, simbolo della lotta alla violenza sulle donne, da cui osservare un inestimabile panorama. Davanti si apre uno spazio infinito, con il paesino di Greci a salutarmi dall’altra parte della Valle del Cervaro. Incontro per caso Agostino, un gentilissimo signore sulla sessantina, col volto scavato dal lavoro e la disponibilità infinita. Mi dà qualche dritta. Mi consiglia di salire fin sopra al castello, sfruttando un camminamento ricavato proprio nella collina. In cima, accanto alla croce monumentale del colle Tombola, una sorta di croce di vetta che distingue questo colle rispetto agli altri in zona, un graditissimo binocolo dal quale apprezzare ancora meglio le meraviglie delle distese circostanti.

Agostino mi suggerisce di proseguire il mio viaggio portandomi sul Corso Vittorio Emanuele, la strada principale di Savignano Irpino, attorno a cui tutto si dipana. Prima però è doverosa una sosta per ammirare le mura perimetrali del Castello Guevara, costruzione diventata dimora signorile della famiglia basca da cui prende il nome, ma in origine fortificazione normanna nota fin dal VII secolo. Le sole mura perimetrali sono sufficienti per realizzare la grandezza del castello e la sua imponenza sull’abitato.

Come riscontrato in altri “Borghi più belli d’Italia“, anche a Savignano Irpino la pulizia delle strade la fa da padrona, così come l’adeguata presenza di indicazioni stradali, che consentono al turista (come in questo caso è accaduto a me) di orientrasi tranquillamente da solo (volendo si può anche accedere ad un sistema informativo tramite App del cellualare).

Dopo il castello mi dirigo verso la Chiesa principale, a completamento di un percorso che caratterizzava il nucleo originario del paese, un tempo racchiuso appunto tra il cosiddetto Castrum Sabinianum e l’edificio dedicato ai santi patroni di Savignano.

Procedendo lungo la stretta e caratteristica Via Don Giovanni Albani, la Chiesa Madre si avvicina sempre di più, preannunciata dall’enorme campanile (ricavato da uno dei piloni dell’antica cinta muraria). Incastrata com’è nella morsa del centro abitato, la Chiesa Madre di San Nicola e Sant’Anna risulta ancora più maestosa. Più ancora di quanto non dica la sua splendida struttura, con copertura a salienti a scandire le tre navate interne (che ho potuto solo immaginare, avendola trovata chiusa) e i meravigliosi tre rosoni sulla facciata.

Superata la Chiesa, mi concentro a cercare le due porte d’accesso all’antico abitato. Mi colpiranno perché davvero differenti tra loro. Porta Grande è l’accesso più moderno, che nei secoli addietro veniva sistematicamente chiusa durante la notte, oltre che nei momenti di pericolo, a protezione dell’abitato. Oggi è un arco molto suggestivo dietro il quale si apre il nucleo medioevale del centro storico e fa bella mostra di sé nella centralissima Piazza Umberto I. Più antica ancora, nonché più complicata da trovare Porta Lizza, ad Ovest dell’abitato, più in basso rispetto al nucleo abitativo, in quella via Finestroni che cinge l’abitato. Varcarla significa entrare in un cunicolo formato da una scalinata stretta e buia, alla fine della quale mi accoglie una luce abbagliante: è quella che risplende nel pieno del centro storico.

Prima di imboccare Porta Lizza è possibile assistere ad un altro panorama, meno affascinante ma certamente altrettanto sorprendente. Savignano Irpino infatti dispone di un polo sportivo di tutto rispetto: campi di calcetto e tennis, un bocciodromo, perfino una piscina comunale scoperta ed un’attrezzata area camper (non a caso unica Bandiera Gialla in Campania secondo ACT Italia).

Uno dei tanti sorprendenti scorci di Savignano. Come quello che incontro poco dopo, sempre nella stessa zona: piazza Savigneaux, un luogo dominato dalla Fontana Harmonie. È il tributo del popolo savignanese al gemellaggio con il paese della Loira francese, un legame fortissimo, che al pari di quello con Essenbach (in Baviera), viene richiamato in parecchie occasioni.

Arrivo sul Corso. Da Piazza Umberto I, a ritroso verso l’ingresso al paese, in pochi metri si trovano concentrati tante attrazioni da visitare. Tra i bei palazzi storici spicca Palazzo Albani, con la relativa lapide dedicata al Cavalier Luigi Albani, medico rimasto nel cuore dei suoi paesani per dedizione ed abnegazione alla cura del prossimo (ed anche per un certo miracolo, di cui forse vi parlerò un giorno). A seguire arriva il Palazzo Orsini: oggi sede del Municipio (dove la gentilissima Marika mi fornisce un po’ di materiale che mi ha aiutato a scrivere queste righe), in passato sede dell’hospitius pro peregrinis, luogo di rifugio per malati e pellegrini voluto da Papa Benedetto XIII nel programma di riorganizzazione della rete di ospedali della diocesi (siamo nel 1727).

Proseguendo attrae la mia attenzione la Chiesa del Purgatorio, una graziosa costruzione affacciata su Corso Vittorio Emanuele, raggiungibile anche dalla scalinata dedicata al Beato Angelico. Sono fortunato, la chiesa è aperta. Ho così l’occasione di apprezzare il bellissimo altare, le statue laterali, l’organo che sormonta il portale d’ingresso ed un soffitto molto peculiare, che vede protagonista San Michele Arcangelo.

Chiudo il mio tour per il centro di Savignano Irpino con quello che in realtà è il biglietto da visita per tutti i visitatori in quanto primo monumento che si incontra entrando in paese: la Fontana Angelica. È un monumento dall’aspetto molto peculiare, realizzato in un materiale locale (proveniente dalla periferia di Savignano), costituito da tre bocche a forma di papera dalle quali sgorga l’acqua di una delle tante sorgenti locali, quella di Monte Sant’Angelo. Per un attimo mi immagino in passato questo luogo, frequentato dalle acquaiole, le donne che portavano a domicilio l’acqua della fontana, in un vociare quotidiano e continuo fatto di inciuci, risate e complicità. Di fronte alla fontana, la Chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie, non più visitabile, ma ancora molto amata dalla popolazione.

Fontana Angelica

È l’ora di un caffè. Il bar di Luigi è il luogo ideale per prendere informazioni sulla zona periferica, interessante quasi quanto il centro. Entrambi amiamo la nostra terra per cui il feeling con Luigi scatta immediatamente. Mi spiega subito l’importanza delle contrade per Savignano Irpino. Qui, mi racconta Luigi, vivono la maggior parte dei savignanesi, a testimonianza della matrice principalmente rurale del paese. Il centro storico è vittima dello spopolamento per via dell’emigrazione, mentre la periferia presenta caratteristiche interessanti.

Non mi tiro indietro, mi faccio un giretto anche nei dintorni di Savignano. Mi reco verso Sud-Est, a visitare le contrade, ognuna con una sua caratteristica peculiare. Nella zona delle Cesine c’è un manufatto normanno tramutato in mulino nel XII secolo, Ciccotonno presenta distese infinite dedicate al pascolo ed una pila per l’abbeveraggio degli animali, in zona Licese un laghetto con sorgente sulfurea. Lungo Contrada Fiego, poi, uno stradone che solca il palco eolico e porta dritti alla provincia di Foggia, mi imbatto nelle fontane di Mottola e dei cavalleresi. Soprattutto quest’ultima rivela la vocazione di questa zona alla pratica della transumanza. Non è lontano infatti (in zona Monte Sant’Angelo – Difesa) c’è un braccio del celeberrimo tratturo Pescasseroli-Candela.

A proposito di periferia, per Savignano Irpino ha una certa importanza la Ferrara, altopiano che già nel Paleolitico presentava tracce di insediamenti umani. Qui, dove trovo una cava, un’azienda di foraggi e dove mi imbatto in un paio di cani piuttosto tignosi, nel 1142 si è svolta la seconda Assise di Ariano, l’ultima tappa per la creazione del Regno di Sicilia. Una bella scoperta è la Chiesa di Santa Sofia. Una piccola struttura lì in alto, circondata dal nulla, come una sorta di sentinella sulle enormi distese circostanti. Visibile da tutte le strade del circondario, eppure difficile da raggiungere. Ma il problema è mio: mi attendo una stradina carrozzabile, un acciottolato, qualcosa. Girando più volte intorno alla fiera sagoma di questa chiesetta rurale, non riesco a intravvedere nessuna strada che vi conducesse. Solo dopo ho capito che era giusto lasciare la macchina sulla strada principale e raggiungerla a piedi, seguendo l’erba schiacciata di chi forse, prima di me, non ha voluto perdere l’occasione di raggiungerla. Quando sono arrivato ho capito che ho fatto bene ad insistere: nella sua dignitosa essenzialità, ritta su quel colle verde brillante, in perenne contatto visivo con Monteleone di Puglia, arrivare alla Chiesa di Santa Sofia è stata un’esperienza d’altri tempi.

Mi accorgo che il pomeriggio è sopraggiunto quasi senza accorgermene. Il mio viaggio è finito. È ora di tornare alla realtà. Mentre torno a casa, in macchina, mi viene in mente che non ho chiesto a nessuno dei miei improvvisati ciceroni il perché del soprannome di Savignano Irpino, cioè “la bomboniera“. Ma non me ne rammarico. Dopo una giornata qui il motivo di questo epiteto l’ho capito da solo. Solo in una bomboniera, raccolta, bellissima ed emozionante è possibile trovare storie di regnanti normanni e di papi, di acque e di grano, di vento e di fede, di natura e di silenzio. E mi ripeto che mai soprannome fu più azzeccato: Savignano è veramente una bomboniera, e e di quelle da custodire gelosamente!