Nocciole d’Irpinia: cultivar, produzione e tradizione

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

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Viaggio alla scoperta della più caratteristica delle colture in provincia di Avellino, dove le nocciole caratterizzano da millenni le tradizioni contadine, l’economia e perfino il paesaggio

Quando si parla di Irpinia si parla di nocciole. Non a caso toponimi come Avella o Avellino deriverebbero, secondo il botanico Linneo, dalla nux abellana (la nocciola di questo territorio). A testimonianza, così come per i pregiati vino ed olio, della grande abbondanza e qualità delle nocciole in provincia di Avellino.

Anche l’origine del connubio tra questa coltura e il territorio è molto antica. Oggi la vocazione produttiva è più concentrata nella parte Ovest della provincia. Tuttavia gli antichi ritrovamenti (VI secolo a.C.) presso il tempio dedicato alla Dea Mefite, tra Villamaina e Rocca San Felice, testimoniano come buona parte dell’Irpinia sia da sempre condizionata dalla presenza di questa coltura.

Ad oggi la provincia di Avellino è leader regionale per la produzione di nocciole e si stima che a livello nazionale 1 frutto su 3 sia Made in Irpinia! Sul piano sociale, economico ed anche antropologico da queste parti la nocciola è un culto, un must imprescindibile. Forse la coltivazione che più di tutte racconta la storia del territorio. Complice il microclima ideale ed un terreno, calcareo, che la pianta di corylus avellana predilige.

nocciola mortarella ancora sull'albero
Nocciole mortarella

Sul piano produttivo, il settore della nocciola è molto peculiare. I tempi per la raccolta sono dilatati, il lavoro si svolge in più fasi. Innanzitutto va rispettata la pianta, che decide autonomamente di lasciar cadere i suoi frutti. Si chiama maturazione scalare. Significa che la raccolta delle nocciole avviene prendendo in considerazione solo quelle cadute dalla pianta naturalmente. Quelle rimaste sull’albero non vanno colte, ma semplicemente aspettate. L’alternativa è scognare le piante, ossi percuotere con forza i noccioli per ottenere la caduta dei frutti, dato che spesso questi sono già maturi ma vengono trattenuti sulla pianta dal proprio gheriglio.

È possibile in compenso effettuare la raccolta anche ogni giorno. Dipende dal tempo a disposizione, dalle tecniche di raccolta, ma anche dalla volontà (e possibilità) di far diventare questa pratica lavorativa anche un rituale sociale.

un nocciolo

In alcune zone le cultivar più precoci cominciano a cadere a luglio. E così accade, ogni giorno, fino a settembre inoltrato, mese entro il quale è consigliato terminare la raccolta. Proprio in merito a quest’ultima ci sono due scuole di pensiero. Per la raccolta a mano si comincia attorno a Ferragosto, quando le famiglie o i gruppi di amici si radunano per arrigliare le nocciole cadute (anche perché le prime nocciole di luglio non sopravvivono a terra integre fino a settembre).

Si tratta di una pratica molto diffusa soprattutto in passato, quando i macchinari non esistevano (o erano inaccessibili). Per coloro che vivevano stabilmente nel bel mezzo dei possedimenti corilicoli poteva diventare un rito quotidiano, specie nel periodo agostano. Spesso la domenica era una festa, al pari di quella del maiale o del vino. Un’occasione per ritrovarsi e lavorare insieme. La raccolta della mattina era interrotta da marenne a base di caciocavallo, pane e vino rosso, accompagnati da altri piatti poco elaborati (come le frittate, per esempio). Discorso diverso per la cena. Al termine di una intensa giornata di lavoro ci si lasciava andare, banchettando, magari davanti ai primi fuochi del camino, per serate piene di spensieratezza e convivialità.

una fase della lavorazione
La fase di insacchettamento delle nocciole

Con l’introduzione delle macchine la raccolta è cambiata molto. Nelle modalità, ma anche nei tempi. Raccogliere le nocciole ha cominciato a rappresentare anche un costo: di carburante, di manodopera, ma anche di vettovaglie. Controproducente e inutile la raccolta quotidiana. Più logica la raccolta programmata, di solito una volta al mese, ad agosto e a settembre. Perciò oggi ci si organizza programmando, per esempio, l’utilizzo dei macchinari (spesso a noleggio), con una manodopera anche esterna e spuntini veloci per ora di pranzo.

Le fasi di raccolta meccanica delle nocciole prevedono idealmente 3 macchinari. Il primo è il soffiatore, che accumula insieme nocciole e foglie, ponendo le basi per il passaggio della seconda macchina: è una fase inconfondibile, perché caratterizzata dai caratteristici polveroni di terra nell’aria. Nella seconda fase si utilizza un’aspiratrice, capace di separare le foglie dai frutti: questo macchinario aspira dai cumuli preparati con la fase precedente, separando poi le foglie dalle nocciole. Infine l’ultima fase (qualora prevista meccanicamente), che consente di scegliere le nocciole, eliminando quelle rotte o difettate (come le bucate), differenziandole addirittura per calibro. Una volta stoccate infine, le nocciole vanno portate alla giusta umidità, attraverso l’asciugatura. Ecco spiegate le enormi distese di nocciole subito dopo la raccolta, spesso lasciate a terra su sacchi di juta, su graticci, o comunque nelle condizioni ideali per accogliere il sole e il vento (di solito per un paio di settimane). Raggiungere la perfetta umidità del frutto permette alle nocciole di conservarsi adeguatamente.

distesa di nocciole in fase di asciugatura

Cambiamenti sostanziali si sono registrati anche nella cura delle piante. In linea generale i noccioleti non necessitano di particolare cura. La maggiore attenzione la richiede il terreno, che va trinciato, pulito e tenuto in ordine per il momento della caduta e magari va liberato dalle cascole, i frutti non buoni di cui la pianta si libera tra giugno e luglio.

In passato si preparavano concimi ad hoc (a base di fave e lupini principalmente) che fungevano da fertilizzante naturale. Ma questo discorso appare oggi sorpassato: chi vuole fare trattamenti sulle piante, talvolta quasi obbligati a causa dei parassiti che sempre più spesso colpiscono le nostre colture, spesso si rifugia nel diserbante.

nocciole cadute

La coltivazione della nocciola è diffusa in tutta l’Irpinia: secondo Città della Nocciola sono ben 60 su 118 i “Comuni del Nocciolo” in provincia di Avellino, ossia quelli interessati dalla presenza di questa coltura. Ma è nella zona Occidentale della provincia di Avellino che questa pianta rappresenta un elemento distintivo per l’economia e perfino per la conformazione paesaggistica.

Molto interessato è il massiccio del Partenio. Essendo un tipo di frutto che cresce al massimo fino ai 700 metri di altitudine, la nocciola di questa zona si sviluppa a valle del monte, tutto intorno cioè al massiccio. Ma se a Nord Ovest del Partenio (nella Valle Caudina) e ad Est (nella Valle del Sabato), la quantità e la qualità sono ottime, le nocciole d’Irpinia raggiungono l’eccellenza nella zona del Baianese e del Vallo di Lauro.

Un territorio letteralmente ricoperto di noccioleti (che qui rappresentano il 90% delle colture prodotte). Infatti, passare per la periferia di Taurano, nella zona del fossato di Marzano di Nola o ancora nel territorio di Avella (mai toponimo fu più azzeccato), significa assistere a paesaggi monocromatici, intere distese dedicate che letteralmente avviluppano i centri urbani nei noccioleti.

Tra le nocciole d’Irpinia, le principali cultivar sono la mortarella, la tonda camponica e la San Giovanni, che insieme rappresentano il 90% della produzione locale. Le altre, dalla Tonda rossa alla Tonda Bianca, fino alla Riccia di Talanico (diffusa in Valle Caudina), nonché la più rara Giffoni IGP (sviluppate maggiormente nei Picentini), rappresentano quantità più trascurabili. Completano il quadro le cultivar, sopravvissute in poche piante, Peluselle, Onn’Aniello, Pall’e scuppetta e Cap’è mort‘, varietà autoctone molto antiche.

Nel rapporto tra nocciole e territorio, una interessante iniziativa è quella del progetto Nocciola d’Irpinia, con una richiesta di IGP lanciata nel 2022 ed in attesa di riconoscimento che coinvolge tutti i paesi della provincia. Chi invece ha già ottenuto una certificazione è il comune di Avella, che dal 2017 ha marchiato la propria produzione, insieme a quella di altri paesi del baianese aderenti, con la denominazione Nocciola di Avella De.Co..

Il marchio DECO della nocciola di Avella

La nocciola mortarella è una cultivar molto resistente al freddo ed è una coltivazione tardiva. Si caratterizza per un frutto piccolo, facilmente sbucciabile, dal colore bianco avorio e di buona consistenza. Esternamente ha una forma allungata, compressa lateralmente, con un colore marrone chiaro con leggere striature più scure. Ideale per l’industria della trasformazione, tanto da essere quella più ambita per le migliori creme spalmabili. Quando consumata direttamente, in caso di tostatura, essa sviluppa aromi molto avvolgenti di crosta di pane e leggero caramello.

La nocciola tonda camponica invece ha caratteristiche piuttosto differenti rispetto alla mortarella. Il suo frutto si trova in territori di maggiore altitudine, dai 600 metri in su, fino al limite massimo in cui la pianta di nocciolo può vivere. E anche per questo risulta meno produttiva. Esternamente il guscio è di un marrone simile alla mortarella, ma con una forma tondeggiante. Il frutto è grande, di colore bianco, con una polpa soda ed il perisperma (la buccia) facilmente staccabile quando infornata. Si consuma direttamente: è la classica nocciola da tavola, ma è ottima anche nella preparazione di dolci.

La nocciola San Giovanni, infine, è una cultivar precoce. Nasce in aree pianeggianti e pur essendo molto produttiva ha un valore commerciale minore. Il guscio è sottile, di un caratteristico marroncino – beige. Il suo seme è medio-piccolo. È possibile utilizzarla per la trasformazione, ma i nutrizionisti ne consigliano il consumo diretto, viste anche le qualità organolettiche.

La cassata avellana della Pasticceria Pesce ad Avella

Fresche, ma anche lavorate. La trasformazione in dolci di grande tradizione e gusto rende onore alla nocciole d’Irpinia, diventate in molti casi ingrediente imprescindibile. Le tradizionali ntrite (nocciole sgusciate, tostate e infilate nella canapa) sono tipiche del comprensorio attorno a Montevergine, così come per il torrone, diffuso in alcuni importanti comprensori in provincia. Meno conosciuta (ma solo perché invenzione relativamente più moderna) è la cassata avellana di Antonio Pesce, pasticcere capace nel tempo di creare importanti flussi turistici legati proprio alle sue creazioni a base di nocciola. Per assaggiare la sua cassata avellana (ma anche il gelato alla nocciola ed altre prelibatezze create nel laboratorio di Avella) arrivano da tutta la Regione e spesso anche oltre. Segno che con il talento e la giusta capacità di valorizzare i prodotti del territorio l’Irpinia può davvero dire la sua, confermandosi una meta dove l’enogastronomia d’eccellenza può fare grandi numeri.