Alla scoperta del Pecorino di Carmasciano

Carmine Cicinelli

Carmine Cicinelli

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È una delle gemme gastronomiche irpine, ricetta antichissima tramandata fino ad oggi, con aziende ubicate attorno alla mitologica Valle d’Ansanto che tengono viva la tradizione di questo formaggio dalle caratteristiche e dal gusto unico

Il Pecorino di Carmasciano è un formaggio tipico dell’Alta Irpinia che si produce solo in una ristrettissima zona, estesa per un raggio di circa 4 chilometri. Mi riferisco ai dintorni della contrada da cui prende nome il formaggio, compresa tra i comuni di Rocca San Felice, Frigento, Sant’Angelo dei Lombardi e Guardia Lombardi.

Si tratta di un prodotto che ha un’aderenza totale, quasi simbiotica col territorio. E non potrebbe essere altrimenti dato che è proprio il suo radicamento attorno a Contrada Carmasciano a rendere questo formaggio unico, perché irriproducibile altrove. Il segreto sta nell’alimentazione delle pecore da cui viene munto il latte, che brucano l’erba dell’adiacente zona della Mefite, la suggestiva manifestazione vulcanica di cui vi ho già parlato qui.

Nonostante il laghetto pulluli di acqua sulfurea e produca esalazioni asfissianti e potenzialmente dannose per l’uomo, in compenso è proprio questa condizione a conferire all’erba sentori talmente particolari da rendere uniche le proprietà organolettiche di questo prodotto.

La mefite di Rocca San Felice

Ma non è solo la presenza della Mefite a rendere unico il gusto del Pecorino di Carmasciano. Nulla si potrebbe ottenere senza la pecora laticauda. Si tratta di razza autoctona, originata secoli addietro da un incrocio tra la pecora berbera proveniente dall’Africa e una razza locale. Il termine laticauda significa letteralmente “coda larga”, proprio a caratterizzare una particolare conformazione della coda, dovuta ad un curioso retaggio. La pecora berbera infatti faceva con la coda ciò che il cammello fa normalmente con le gobbe, ossia incamerare provviste d’acqua! Questo perché, vista la particolare condizioni ambientale, fisiologicamente questi animali tendono a trattare con grande parsimonia i liquidi. Ecco perché oggi la pecora laticauda, risentendo di questa predisposizione genetica a non sprecare liquidi, produce davvero poco latte, nell’ordine di circa un litro al giorno.

Ma se la quantità è molto limitata è la qualità del latte a fare la differenza. In alcuni casi perciò alcune aziende tendono ad aggiungere del latte di altre razze, purché sempre autoctone, come la pecora malvizza (quella utilizzata per fare un’altra eccellenza locale, il Pecorino Bagnolese).

Come per la vacca podolica, altro esemplare tipico dell’Irpinia, anche la pecora laticauda è un animale “camminatore”, molto resistente all’ambiente circostante, capace da solo di procurarsi il cibo che gli piace.

La pecora laticauda, dalla peculiare coda larga

Per ottenere il Pecorino di Carmasciano si parte dalla mungitura del latte, che avviene due volte al giorno, quella del primissimo mattino e quella del pomeriggio (più o meno a 12 di distanza l’una dall’altra). Le pecore utilizzate sono quelle che, circa un mese dopo aver partorito, sono pronte per la lattazione.

Il processo di produzione è artigianale e laddove possibile utilizza vecchi strumenti da sempre utilizzati dai pastori per ottenere il Carmasciano. Si comincia con il latte (la mungitura della sera prima e quella del mattino seguente) che viene riscaldato fino a circa 38° C. in un paiolo in rame detto cacco o caccavo (il Pecorino di Carmasciano è infatti un formaggio a latte crudo). A questo punto si aggiunge il caglio (di agnello oppure di vitello), a cui segue, dopo circa mezz’ora, la rottura della cagliata realizzata attraverso il ruotolo, un bastone con la punta bitorzoluta che rompe la cagliata fino alle dimensione di chicchi di mais. La pasta, lasciata riposare e depositatasi sul fondo del paiolo, viene a questo punto raccolta e pressata manualmente nelle tipiche fascedde (o fuscedde).

Il ruotolo in azione

Prima della salatura le forme vengono immerse per 5-10 minuti nel siero bollente residuato dalla ricotta. Questo è un procedimento tipico, che caratterizza in maniera esclusiva la produzione del Pecorino di Carmasciano. Si passa poi all’asciugatura, in cui le fuscelle vengono poste sul tombagno, una spianatoia appositamente creata per scolare tutto il siero ed per evitare così che il pecorino marcisca durante la stagionatura. Nei giorni successivi ogni forma viene salata a secco e successivamente collocata nei suttani, stanze per la stagionatura appositamente create.

La stagionatura è una fase cruciale per il Pecorino di Carmasciano. Quella minima prevista è di 3 mesi, mentre alcune forme possono arrivare fino ai 18. La versione tuttavia più gettonata è quella di una stagionatura media, che si attesta intorno agli 8 mesi.

Le lunghe stagionature sono riservate a forme molto grandi (in circolazione ce ne sono alcune che raggiungono i 6 chili di peso). Assaggiare le forme più grandi significa automaticamente andare incontro ad un sapore completamente differente rispetto al classico prodotto con una stagionatura breve. Il Pecorino stagionato a lungo è più compatto, granuloso, asciutto e… piccante. Al contrario di quello con stagionatura minima, molto più morbido, setoso, coi sentori di erba molto vividi.

Dopo il terzo mese, questo formaggio sviluppa una crosta piuttosto compatta, da trattare periodicamente con l’olio per isolarlo dall’esterno e rallentare la maturazione, mentre ogni paio di settimane va lavato con aceto o vino bianco per eliminare la pelunia (ossia la muffa formatasi).

La tradizione vuole che in Irpinia i formaggi stagionati siano pronti per essere mangiati. Tuttavia sta prendendo sempre più piede anche per il Carmasciano l’idea di sottoporre il formaggio ad affinamento. Con questa fase il formaggio migliora ulteriormente, perché si arricchisce di sentori capaci di donare caratteristiche ancora più interessanti al Pecorino di Carmasciano. Possibilmente l’affinamento va effettuato prima che la crosta si crei, isolando la pasta interna dall’esterno e favorendo la penetrazione degli umori esterni all’interno del prodotto, tramite osmosi.

Una volta acquistato (io consiglio l’esperienza diretta in azienda, recandovi in uno dei caseifici che lo producono), la migliore conservazione del Pecorino di Carmasciano è sottovuoto. Liberato dalla confezione e lasciato all’aria per raggiungere la temperatura di circa 18°, il formaggio tornerà alla sua originaria bontà. Una volta aperto, invece, racchiuderlo in un panno di cotone (possibilmente inumidito) per consentire al prodotto di lasciare intatte le sue caratteristiche organolettiche.

Oggi la biodiversità del Pecorino di Carmasciano è tutelata da uno specifico Presidio che consente al consumatore di essere informato sulle caratteristiche del prodotto, sui produttori e dove trovarli.

Il Carmasciano si produce da Febbraio a Luglio. Personalmente il migliore Pecorino di Carmasciano che si può trovare in commercio è quello che si produce in primavera. In questo periodo gli ovini pascolano per molte ore al giorno, tra i 500 e gli 800 metri di altitudine, nutrendosi esclusivamente dell’erba della mefite.

Non che le forme prodotte negli altri periodi siano da meno, perché il foraggio (a base di sulla, trifoglio ed altri elementi) è comunque naturale. Dico soltanto che se aveste la fortuna, ma anche lungimiranza che si richiede in questi casi, di acquistare una forma mediamente stagionata (8 mesi) e prodotta nel mese di maggio potreste seriamente vivere un’esperienza alle soglie del mistico.

Per alcune delle foto e la consulenza ringrazio Salvatore Forgione.